. CINEGATTO: GLI SPIRITI DELL'ISOLA URLANO LA CONDIZIONE DELL'ESSERE UMANO - Il Salotto del Gatto Libraio CINEGATTO: GLI SPIRITI DELL'ISOLA URLANO LA CONDIZIONE DELL'ESSERE UMANO - Il Salotto del Gatto Libraio

Fumettilandia

Cinegatto

LeacchiappaVip

CINEGATTO: GLI SPIRITI DELL'ISOLA URLANO LA CONDIZIONE DELL'ESSERE UMANO

Dal 2 febbraio al cinema Gli spiriti dell'isola, il film di Martin McDonaugh che sta già collezionando importanti premi.


Scheda Film



Irlanda, 1923. I migliori amici Pádraic e Colm s'incontrano da una vita alle due del pomeriggio per qualche pinta al pub e le solite chiacchiere. Un giorno, però, Colm non apre la porta di casa all'amico, e in seguito, costretto a fornire una spiegazione, afferma di averne abbastanza di lui e di non voler spendere un minuto di più in sua compagnia. Devastato e incapace di accettare la cosa, Pa'draic cerca l'aiuto della sorella e poi del parrocco perché parlino con Colm, ma quest'ultimo non solo non ritratta, ma minaccia il peggio se Pa'draic non lo lascerà in pace. Mentre sul continente infuria la guerra civile, sull'immaginaria isola di Inisherin, che si è sempre considerata al riparo dal conflitto, l'allontanamento di due amici fraterni innesca ugualmente una serie di conseguenze e un'escalation di atrocità.

GLI SPIRITI DELL'ISOLA URLANO LA CONDIZIONE DELL'ESSERE UMANO

Sono Inisherin – la piccola isola immaginaria al largo della costa occidentale dell’Irlanda – e Banshee – la fata del folklore irlandese – le protagoniste del titolo originale dell’ultimo film di McDonagh. E lo sono perché quel lamento funebre, presagio di morte, della banshee è silenziosamente presente a Inisherin nelle vite dei suoi abitanti. Il paesaggio grigio, la lentezza di una vita vissuta nell’attesa – della morte? Della fine della guerra? Di una svolta? Di un amore? –, la quotidianità così ripetitiva che può essere sconvolta anche da un minimo cambiamento. E in questo quadro raffigurante un paesaggio quasi immobile, vediamo uno dei due protagonisti, Pàdraic (Colin Farrel), mentre si reca a casa di un uomo più grande di lui. Bussa alla sua porta, ma non ottiene risposta. Allora sbircia dalla finestra che li divide, e nota che quell’uomo di nome Colman (Brendan Gleeson) è lì seduto a fumare un sigaro. Insiste, alzando la voce e permettendo di far scoprire allo spettatore che questi uomini visibilmente molto diversi tra loro sono amici, e che ogni giorno alle due del pomeriggio il primo si reca a casa del secondo per andare insieme al bar dell’isola. Per la prima volta, Pàdraic giunge da solo al locale, dando inizio a un siparietto di domande, risposte e congetture tra lui, il barista e gli altri clienti incuriositi e increduli. “Avete litigato?”, “Hai detto qualcosa che non dovevi dire?”. “Non gli vai più a genio” è la risposta esatta, data solo dalla sorella di Pàdraic, Siobhan (Kerry Condon). Una risposta che non sazia la curiosità di nessuno, che sembra insensata anche quando data da Colman stesso. 




I due personaggi principali vengono ben definiti proprio attraverso la novità e il loro scambio di battute: Pàdraic è un adulto-bambino, fiero della sua gentilezza e dei suoi modi, semplice, si accontenta di una casa modesta che divide con la sorella e dei suoi animali da fattoria, tra cui la sua asinella nonché migliore amica; Colman è un violinista, preoccupato dallo scorrere del tempo e dall’oblio a cui andrà incontro se non smetterà di perdersi in chiacchiere con il suo ex amico, che reputa noioso, e non inizierà a costruire qualcosa per cui verrà ricordato. La musica, secondo lui, è ciò che sopravvive alla memoria, con i suoi grandi compositori e le loro scritture. Per Pàdraic, invece, è la gentilezza (e in senso più ampio l’amore) a essere eterna, poiché lui è ancora in grado di ricordarla in suo padre e in sua madre. Due posizioni distanti come i protagonisti, soprattutto perché il problema dell’eternità viene posto da Colman e non da Pàdraic che, come un bambino, sostiene l’importanza della gentilezza non come scopo di vita (anzi, lui è gentile per natura, quasi senza accorgersene, e ignora che gli altri lo reputano solo noioso), ma semplicemente come argomentazione basata su un valore trasmesso dai suoi genitori per tenere testa all’ex amico. E il cambiamento iniziale, quello creato da Colman con la pretesa di dover impiegare meglio il proprio tempo – mettendosi necessariamente su un piano più elevato rispetto all’amico e alla banalità della vita al di fuori dell’arte –, si trasforma in follia con la minaccia di recidersi le dita qualora Pàdraic si fosse permesso di parlare ancora una volta con lui. La compostezza con cui viene affermata un’intenzione del genere è disarmante. Si sprofonda verso un universo sempre più grigio, raccontato con un gioco di movimenti di macchina, riflessi allo specchio che svelano il cambiamento interiore dei personaggi e finestre che, sempre di più, creano distanza. Una distanza non solo fisica, ma soprattutto mentale. Un vetro trasparente che permette di guardare, ma non di toccarsi né di confrontarsi. Il pensiero divide, le convinzioni distruggono. E qui lo sfondo della Guerra Civile Irlandese che viene combattuta al di là dell’isola si rende protagonista. La guerra della divisione, passata alla storia per aver visto combattere in schieramenti opposti uomini che fino a poco prima avevano combattuto fianco a fianco nella Guerra d’Indipendenza. 




Viene da chiedersi perché, come sia stato possibile. E forse uno degli intenti del film, con un antefatto così innaturale come svegliarsi la mattina e decidere di troncare un’amicizia senza spiegazioni, suggerisce che a volte non c’è una reale motivazione dietro le azioni, ma che queste possono portare a conseguenze enormi. La noncuranza dei sentimenti dell’amico da parte di Colman è un egoismo esasperato dalla paura della morte, dal sentore che essa è dietro l’angolo e dalla frustrazione del sospettare di aver sprecato una vita intera dietro a inutilità. Ma alzarsi dal letto la mattina e decidere di stravolgere il proprio mondo ha conseguenze anche sul mondo di chi ci circonda, che necessariamente diventa vittima delle nostre scelte. In una comunità che sente ma non vede la guerra, che scandisce la settimana tra sermoni in Chiesa, il rispetto delle regole dettato da una forza in verità non così moralmente adeguata, chiacchiere al bar e sete di curiosità riguardanti gli altri, Colman non è più a suo agio. Si pone delle domande, riflette sull’arte, sulla vita, sulla memoria, su questioni “più grandi” di quanto quella comunità possa dargli. Nel suo scambio di battute con il prete dell’isola, quando gli viene chiesto se, secondo lui, a Dio importa delle asinelle, risponde: “Ho paura di no. E ho paura che per questo sia andato tutto storto”. Un riferimento alla guerra e ai mali del mondo, senza pensare che in questo momento anche lui stesso ne fa parte avendo, con le sue azioni, innescato un cambiamento in Pàdraic. Gli innocenti non vengono protetti, ma nutriti di cattiveria finché non diventano come gli altri, oppure, muoiono provando a difendere la loro purezza. I due protagonisti ne sono la piena incarnazione, metafore pensate e meditate degli effetti del tempo, delle decisioni prese, delle convinzioni e della resistenza ad esse, degli errori e del punto di vista che si trasforma nel corso della vita. Andare avanti nelle proprie convinzioni fino alla follia, oppure frantumarsi in mille pezzi come uno specchio che sa leggere in noi il cambiamento e non sa mentire? Tutti facciamo i conti con la banshee, con il suo urlo straziante che non è possibile ignorare né evitare nascondendosi. La signora McCormick (Sheila Flitton) è l’anziana “guardiana” dell’isola, la probabile banshee da cui tutti si nascondono. Osserva, sembra essere in grado di vedere non solo con gli occhi, di conoscere il futuro. Così come fa la macchina da presa, che scruta i personaggi con inquadrature attraverso le finestre alla Ford e con riprese dal basso alla Sergio Leone, addentrandosi e allo stesso tempo rimanendo distante. E la fotografia sottolinea tutto questo, l’immobilità apparente delle giornate, la mancanza di prospettiva di un futuro diverso, e si sposa con un paesaggio rurale e semplice, indietro fino al 1923. Lì davanti c’è la guerra, così vicina da permettere agli abitanti dell’isola di sentire i colpi di cannone, eppure così lontana per la noncuranza di ciò che sta accadendo. Per loro i problemi sono qui, quotidiani, e non importa quanto piccoli possano sembrare paragonati a una guerra. Alla fine, ciò che rimane è una lenta riflessione inevitabile scatenata dalle azioni dei protagonisti e dei personaggi intorno, le conseguenze delle decisioni altrui che ricadono su di noi, e la consapevolezza di quanto in bilico sia l’animo umano. 







                                           

Nessun commento

Powered by Blogger.