Disponibile su Netlfix.
ED GEIN IN MONSTER SI CONFERMA IL PEGGIOR INCUBO
Non c'è persona al mondo che non conosca la storia di Ed Gein, il serial killer statunitense divenuto celebre come il "macellaio di Plainfield", ma anche come l'esecutore del massacro del Texas, Leatherface, l'uomo con la motosega. Si è macchiato di crimini come omicidi, necrofilia, squartamento. Ed Gein, la cui storia viene narrata negli 8 episodi di Monster: Ed Gein, in streaming su Netflix, affascina ancora dopo decenni e il perché è il punto di domanda da cui partono Ian Brennan e Ryan Murphy per costruire la miniserie.
SE NON VOLETE SPOILER NON PROSEGUITE CON LA LETTURA!
Charlie Hunnam ha confessato di essersi pentito subito dopo aver accettato il ruolo di Ed Gein in Monster. Non si trattava solo di non sapere se sarebbe stato capace di dare la giusta interpretazione, ma di aver paura che studiare ed entrare nella parte di qualcosa di talmente oscuro lo avrebbe provato eccessivamente. Fortunatamente per lui, Brennan e Murphy avevano altri piani per la storia di Ed Gein, ovvero quello di raccontare come il macellaio di Plainfield abbia ispirato capolavori del cinema horror per decenni. La linea principale della miniserie resta l'escalation di follia di Gein che, dopo la morte della sua amata madre, cade nel tunnel dell'orrore fatto di profanazione di tombe, smembramenti, uccisioni, rapporti con i cadaveri. E non viene risparmiato nulla al piccolo schermo. Ma l'alternanza con il racconto di come Hitchock sia stato ispirato per Psyco, o di come Tobe Hooper abbia girato Non aprite quella porta, fa sì che lo sdegno lasci il posto alla logica per buona parte della visione. Lo sdegno, in realtà, non è nemmeno frutto di ciò che vediamo, ma di ciò che ci immaginiamo. Perché dopo tutti questi documentari, film, notizie, è ancora impossibile credere che un uomo abbia fatto queste cose. Eppure ci vengono messi a fianco gli esempi nazisti, ci viene raccontato il parallelismo tra ciò che ha fatto Gein e ciò che hanno fatto loro agli ebrei. Ci viene detto che no, Ed Gein non è l'unico mostro. Ma è uno dei peggiori.
Ancora una volta Netflix punta il dito su di noi, accusandoci di come la nostra perversione verso il macabro sia la causa di tanto successo al botteghino e in streaming di certe storie. E fa di più: ci accusa di essere così anche nella vita reale, di emarginare il diverso, di incuriosirci eccessivamente per dettagli raccapriccianti, quasi di spingere potenziali killer a lasciar sfogare la loro follia. Questa accusa è mossa giustamente dal fatto che è proprio vero che tutti noi siamo affascinati dal male - quello che accade agli altri, non a noi o ai nostri cari. Siamo attratti dalla storia di Ed Gein ma, fortunatamente, quell'importantissimo senso di disgusto risale come un avvertimento per dire: non esagerare, stiamo parlando di un assassino, niente compassione. E infatti ci fermiamo lì, a guardare una serie e chiederci come diamine sia possibile che tutto questo sia successo realmente. C'è però da dire che, come spesso accade, il racconto viene amplificato per tenere alta la tensione del pubblico. Nella storia reale, infatti, vi sono molte accuse mai accertate mosse a Gein, come ad esempio quella di necrofilia (e nella serie verrebbe riportata una frase detta realmente da Gein, ovvero che era disgustato dall'odore dei cadaveri). Sebbene all'interno della sua casa siano state ritrovate esattamente tutte quelle creazioni raccapriccianti e vi siano le prove di alcune uccisioni commesse dal killer, come quello della barista e della proprietaria della ferramenta, molto altro nella serie è romanzato in favore di una reazione più amplificata da parte nostra. Così come la nostra compassione per il protagonista che viene ogni tanto mossa strategicamente all'interno della mini serie, ma che non si manifesterebbe per il vero Ed Gein.
Poi c'è chi, come Frank Worden, dopo aver visto il corpo di sua madre appeso a un gancio, squartato e decapitato, decide di abbracciare il macabro vendendo all'asta gli oggetti di Ed Gein (e ricordiamo che il salto tra la depressione e la follia è dovuto alla scena in cui il suo capo, lo sceriffo Schley, decide di invitare Worden alla cena del Ringraziamento e affettare il tacchino con una simil motosega: complimenti per la delicatezza. Ancora una volta Netflix ci dice che è colpa nostra, insomma). Oppure c'è Hitchcock che non nasconde il suo fascino per il personaggio e sforna film come Psyco, ammettendo di aver cambiato per sempre il genere horror e il suo pubblico. Insomma, il mondo è pieno di gente che reagisce a modo proprio a questa violenza surreale, e per fortuna non tutti seguono le orme di Gein. ma nella serie anche questo viene amplificando, mostrando in un delirio finale come altri ahimé famosi criminali si sarebbero ispirati a lui, iniziando da Ted Bundy che verrebbe addirittura incastrato proprio da un Gein redento che aiuta la polizia nelle indagini. Nulla di tutto questo è mai accaduto, ma è l'intento degli sceneggiatori far credere che il serial killer - una volta internato per anni in manicomio e sotto cura medica per combattere la schizofrenia che gli fu diagnosticata - abbia cambiato strada e imboccato la via del perdono del Signore, con tanto di scena finale dell'episodio 7 che ricorda il momento in cui il prete distribuisce l'ostia. E quindi è facile provare un senso di tristezza per un uomo che ha vissuto una vita in un corpo non suo, diviso come un puzzle, con una mente che non gli ha mai permesso di essere felice, innamorato di una madre che è in realtà buona parte dei suoi malesseri. Ed Gein del manicomio è ben lontano dal macellaio di Plainfield, mostra uno sguardo di chi è arrivato alla fine (sarebbe realmente morto con un cancro diffuso e a causa di un infarto) senza aver mai vissuto la vita che voleva, il cui hobby era - giustamente - considerato illegale, ma che secondo la sua mente schizofrenica non lo era (creo oggetti con i corpi senza vita, cosa c'è di male? Certo, il dettaglio delle altre uccisioni è un problema, ma io non le ricordo...). E in effetti ciò che ci viene mostrato nel finale fa dimenticare per un istante gli episodi precedenti, mostra un uomo che voleva solo l'amore di sua madre, ma che si ritrova circondato da lettere di fan e, soprattutto, da nuovi serial killer che dicono di essersi ispirati a lui. Solo con la morte Gein trova la pace, ritrovando la sua casa e la sua amata madre che, a chiusura della storia, gli ripete la frase-tormentone: "Solo una madre può amarti". Frase che, anche questa, sembrerebbe sia stata ripetuta varie volte al figlio nella realtà. Così ci accorgiamo che tutte le tombe da lui profanate riportano la scritta "MOTHER" in cima, che la sua versione del voler ritrovare la sua mamma e averla vicina non è poi una bugia. Indossare la pelle di una madre è il rifugio estremo, la casa che ha perso da quando lei non c'è più, il calore massimo che lo abbraccia in quella veste. Come in tutte le cose, niente è impossibile da capire, ma non per questo non sia da giudicare fermamente. Perciò sì, capisco il personaggio che hanno voluto creare in Monster, così come in Non aprite quella porta o in qualunque altro prodotto; ma sono sicura che ovunque la sua storia (raccapricciante e meritevole esclusivamente di una pena a vita, ripeto) sia stata piegata in favore del grande e del piccolo schermo. A volte per far paura, altre volte per empatizzare, o anche per puntare il dito contro la società come in questo caso.
Ma se il punto è che la colpa è nostra, la risposta che si è dato il regista è che si debba accusare la società quanto l'inclinazione e l'educazione. Essere cresciuto con una madre ultra religiosa che vedeva il peccato ovunque, che impediva a Ed e suo fratello di guardare le donne, di toccarle, di sposarsi; essere considerato il diverso, lo strambo dalla cittadina ed essere allontanato; avere pensieri fuori dal comune, che spaziano dal fascino per la morte - degli altri, anche per lui - al vestirsi da donna al dissotterrare cadaveri e smembrarli (per analizzare le varie parti ?). Tutto giustissimo, così come l'intento nuovo nella serie di associare a lui tutti i successivi killer reali e non, ma che risulta abbastanza esagerato. Incolpare Gein per il male del mondo è troppo, così come elevarlo a ispirazione per ogni malato di mente che c'è in giro. Ed Gein, è stato detto più volte, sentiva le voci nella sua testa e agiva spesso senza ricordare, né distinguendo le azioni giuste da quelle ingiuste. Gli altri assassini citati sono sadici, consapevoli del male che causano volutamente, in cerca di notorietà e di azioni sempre più disgustose da compiere. Seppur la condanna finale deve essere la stessa (Ed Gein ha passato il resto della sua vita in manicomio perché la sua schizofrenia non lo rendeva giudicabile in tribunale, ma ciò non toglie che i suoi crimini meritavano ben altro), non si può affiancare queste storie e queste diverse personificazioni del male come nell'episodio conclusivo di Monster.
Monster: Ed Gein è un altro capitolo dei tanti che ruotano attorno alla storia del serial killer, ma lo fa in modo leggermente diverso e interessante, seppur a tratti questo saltellare della narrazione provoca fastidio. Così come il delirio finale è molto interessante da vedere, ma forse da interpretare esclusivamente come un viaggio nella mente di Gein su punto di morte, perché altrimenti sarebbe eccessivamente lontano dalla realtà dei fatti e storpierebbe una storia che, tutto sommato, ha raccontato fino a quel momento una pseudo-verità ad oggi conociuta. Ma il senso del progetto è chiaro. Il cast è eccezionale e il mio plauso è tutto per Hunnam, che è riuscito a incantare e inquietare con la sua voce e la sua fisicità restituendo un ritratto di un uomo solo, perso, in un corpo che non sente suo e in una mente che lo inganna. Hunnam ha permesso al pubblico di restare su un filo tra il "oh, poverino" e il "mamma mia quanto è pazzo". Applausi!
Nessun commento