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CINEGATTO: UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA RAPPRESENTATA NELLE DUNE DI UNA STRADA CALIFORNIANA

Ancora al cinema Una battaglia dopo l'altra. 


Scheda Film


 

Bob Ferguson, rivoluzionario in pensione, ha esploso tutti i suoi colpi nella giovinezza, sognando un mondo migliore al confine tra Messico e USA. Appeso al chiodo l'artiglieria e il nome di battaglia, Ghetto Pat, fa il padre a tempo pieno di Willa, adolescente esperta di arti marziali. Tra una canna e un rimorso prova a proteggerla dal suo passato che puntualmente bussa alla porta e chiede il conto. Dall'ombra riemerge un vecchio nemico, il colonnello Lockjaw, che più di ogni altra cosa vuole integrare un movimento suprematista devoto a San Nicola. Ma Bob e Willa sono un ostacolo alla sua ambizione. Lockjaw rapisce Willa e Bob riprende il fucile.

 

UNA BATTAGLIA DOPO L'ALTRA RAPPRESENTATA NELLE DUNE DI UNA STRADA CALIFORNIANA

SE NON AVETE VISTO IL FILM NON PROSEGUITE CON LA LETTURA!!!
SPOILER!!




Ispirato dal libro di Thomas Pynchon "Vineland", Paul Thomas Anderson raduna un cast pieno di nomi stellari quali Leonardo DiCaprio, Sean Penn, Benicio Del Toro, Regina Hall, Teyana Taylor e li mette a servizio di una commedia politica che porta in scena una parte della realtà americana. Pieni di sogni, di grinta, di ideali a volte sopra le righe, i protagonisti di Una battaglia dopo l'altra cercano di mostrare una satira puramente politica che ha come sfondo i ricchi bianchi, gli immigrati, i rivoluzionari, le forze armate. Si mostra una parte sicuramente esistente dell'America, la si enfatizza (forse), si eleva l'americano bianco come degno del potere e del comando, si schiaccia chi non appartiene - secondo loro - al loro paese e si seguono le furie di chi questa cosa non la manda giù. Ma il nocciolo della questione è poi piccolo rispetto alle vertiginose premesse, ovvero la questione della possibilità che il colonnello Lockjaw, prossimo membro di un circolo di illustrissimi comandanti del mondo (più o meno), possa essere il padre biologico di una sedicenne di colore. E questo, se venisse confermato, annullerebbe ogni possibilità di Lockjaw di entrare a far parte dei quegli Avengers lì. Poi c'è l'altro dramma, quello dell'ex rivoluzionario Bob che sta crescendo quella sedicenne nella paura che il colonnello venga a prendere la ragazza. Bob è solo, quotidianamente fumato, in vestaglia, con questa figlia che non sembra ascoltarlo, cresciuta senza madre perché le è stata raccontata una storia non vera, con finale tragico quale "tua madre è morta". Non è vero. In realtà la madre è vivissima e le è stata risparmiata la prigione proprio grazie all'amore che il colonnello provava per lei. Questi, per grandi linee, sono i personaggi centrali e la trama del film. Ma veniamo al dunque.

Una battaglia dopo l'altra è stato acclamato dalla critica, ma in realtà non ha avuto incassi stellari. Queste due informazioni non servono a molto visto che il parere su praticamente qualsiasi cosa, ma forse in particolare sull'arte, è soggettiva.  Dunque per dare la mia opinione mi chiedo: alla fine cosa c'è dietro questo film? Abbiamo il colonnello che è in realtà un omuncolo, non per la sua statura - per carità - ma proprio perché si crede grande ed è piccolo più di un moscerino. Poi abbiamo una tigre che pensa di fare la rivoluzione e migliorare il mondo, ma che è in realtà un'assassina egoista che non esita nemmeno ad abbandonare il suo amore e sua figlia per continuare la sua battaglia. Poi c'è un uomo innamorato che si è fatto acciecare dalla suddetta, a tal punto da entrare in battaglie più o meno sue e crescere una figlia che si scoprirà poi non essere sua. Personaggi ingigantiti all'ennesima potenza, simboli di messaggi ben precisi che puntano il dito contro certe ombre dell'America, ma che non bastano a mio parere ad elevare il film al titolo di capolavoro. Oltre due ore ben raccontate, agitate, frenetiche, con l'apice nell'interpretazione di DiCaprio - come sempre: il padre goffo che cade da 12 metri di altezza cercando di saltare da un tetto a un altro e che finisce sopra un albero dove, una volta atterrato, viene tramortito dal teaser della polizia. Basta questa frase per descrivere il personaggio di Bob che, senza il nostro Leonardo, non sarebbe mai stato uguale. (P.S.: Caro Leo, sei sempre il top e purtroppo sembra non bastare a nessuno, sei dato per scontato da molti, ma non da noi. Con amore, i tuoi veri fan.)       
Poi c'è il personaggio di Sean Penn che riesce a starmi antipatico fin dalla prima inquadratura. Non so se fare i complimenti a Penn dunque, perché l'intento del personaggio è sicuramente riuscito, ma proprio non mi sono andate giù quelle espressioni da finto duro, grezzo omino che si crede un gigante, con mille denti bianchissimi che mostra solo quando dice lui in un gesto che sembra automatico solo nei primi piani - e non tanto naturale.     
Perfidia, la sexy rivoluzionaria che crede ciecamente nel suo istinto, nella sua visione, e crede di farlo bene. Pensa di potere tutto, di avere ciò che vuole, sempre. Non è così, e il personaggio resta una provocazione sensuale, che svanisce dopo meno di metà film e che lancia il sasso per l'intero proseguimento della storia. Ma anche lei, nonostante la bravura dell'attrice Teyana Taylor, è antipaticisssssima.     
E veniamo al sensei Carlos, interpretato da Benicio del Toro. Un maestro che non è giapponese, che è calmo ma indaffarato a proteggere gli immigrati clandestini all'interno del palazzo in cui abita. Il sensei che ha un fucile e che è sicuramente un buon amico e un espediente comico, ma anche lui nulla di più.




Alla fine, dunque, cosa resta? Buone prove attoriali e una buona regia, ma non parlerei né di capolavoro né di film del decennio perché, sempre a gusto personale, manca quella sensazione di uscire dalla sala con gli occhi meravigliati, il cuore pieno di bellezza e l'energia che ti scorre nelle vene. Manca quello che il cinema deve fare, non il semplice intrattenere - ho riso parecchio nelle scene di DiCaprio, sono saltata per aria per gli spari ecc ecc -, ma l'illuminare un qualcosa dentro di noi, penetrare nella nostra testa e risuonare anche a distanza di anni. In Una battaglia dopo l'altra c'è una spettacolarizzazione, un riflettore su caratteri e problemi americani, un umorismo satirico, e nulla più.
C'è però una scena molto bella, quella dell'inseguimento tra le auto. Perché? Perché mi ha ricordato Duel di Spielberg. Le curve del film degli anni 70 vengono sostituite dalle dune di Andersen che ostacolano la visuale, lasciando spazio ai rumori dei motori, al silenzio del deserto circostante di una strada della California che ricorda il titolo del film: una battaglia dopo l'altra rappresentata nella ciclicità della salita e della discesa da quelle dune. 



                                          

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