Si parla molto del nuovo film di
Sam Mendes, premio oscar per American
Beauty e regista di titoli come Era
mio padre, Revolutionary Road, Skyfall. Ma 1917 è davvero un capolavoro?
Scheda Film
Al culmine della prima guerra mondiale, due giovani soldati britannici, Schofield e Blake ricevono una missione apparentemente impossibile. In una corsa contro il tempo, devono attraversare il territorio nemico e consegnare un messaggio che arresterà un attacco mortale contro centinaia di soldati, tra cui il fratello di Blake.
recensione
Vincitore del Golden Globe 2020 nelle categorie Miglior film drammatico e Miglior regia, 1917 è nelle sale italiane dal 23 gennaio e concorre per la statuetta in ben 10 categorie. Ciò di cui si parla di più è la scelta registica di presentare il film come un piano sequenza per le intere due ore, anche se l’arco narrativo della storia si svolge in 24 e segue la missione dei soldati britannici Tom Blake (Dean-Charles Chapman) e William Schofield (George MacKay), incaricati di consegnare una lettera al colonnello Mackenzie (Benedict Cumberbatch) per annullare un attacco che si rivelerebbe mortale per gli inglesi in quanto trappola tedesca. Il film è stato osannato dalla critica proprio per la maestria di Mendes nel progettare e realizzare diversi piani sequenza, uniti poi in postproduzione col fine di formarne uno solo continuo.
Per farlo, regista e troupe si sono muniti di telecamere Arri molto leggere montate su vari supporti dotati di stabilizzatori per permettere ai cameraman – a volte a piedi, altre volte su jeep o motori – di seguire l’azione senza far venire il mal di stomaco allo spettatore. Un’impresa importante, poiché il set prevedeva, giustamente, un terriccio fangoso spesso in pendenza e strette trincee, come in un vero e proprio campo di battaglia. Con l’aiuto dei droni è stato inoltre possibile seguire azioni che sarebbero state altrimenti impossibili da immortalare in altri modi. Seppur concordando sulla bravura di Mendes nella progettazione e realizzazione di tutto questo, non posso che discostami leggermente dall’entusiasmo smisurato della critica per 1917.
Il primo motivo riguarda la regola forse più importante della cinematografia, quella di non far mai distrarre lo spettatore. Io, però, mi sono distratta quasi per tutto il tempo, avvertendo il cambio di tecnica di ripresa nei vari supporti utilizzati (che ci starebbero pure bene se non fossero palesemente legati all’esigenza dei set).
Per fare un esempio, un predecessore abbastanza recente e assolutamente impeccabile nell’uso del piano sequenza è Iñárritu con il suo Birdman. In questo caso, “l’ombra” alle spalle del protagonista era giustificata in quanto incarnazione dall’avvoltoio che non voleva lasciar andare l’uomo che ha vestito i panni del supereroe alato; così come la distanza presa in altre scene di rehearsal o interazione tra due o più protagonisti. Si parlava di gente di teatro, attori ripresi così per come viene svolta la scena sul palco. Il punto è proprio che, nonostante si parli di due film completamente diversi – soprattutto per la difficoltà di realizzazione che in 1917 è davvero elevata – in uno abbiamo una giustificata presenza di diversificazioni di ripresa dovute a scelte registiche legate al racconto, alla sceneggiatura; nell’altro abbiamo un adattamento della ripresa a ciò che offriva il set, una sorta di “come possiamo seguire questa azione?”.
È proprio qui, però, che spicca a mio parere il vero punto di forza del film: la fotografia di Roger Deakins. Non oso immaginare cosa sia stato per lui andar dietro a Mendes e ai suoi set immensi e reali, oltre a dover assicurare la giusta freddezza legata al clima di guerra. Non solo molte scelte fotografiche sono dettate dalle condizioni metereologiche, ma il lavoro di un direttore della fotografia in questi casi è inimmaginabile, diviso tra la giusta illuminazione di protagonisti e ambienti e al movimento in azione che in questo caso può arrivare fino a 8 minuti senza tagli.
Tanto di cappello a Deakins, dunque. Ultimo ma non meno importante, il fattore emozioni. La guerra è una delle crudeltà più strazianti e folli che siano mai state realizzate dall’uomo. I soldati venivano lanciati come carne sul fuoco, impazzivano nelle trincee nell’attesa di qualcosa che non sapevano nemmeno più cosa fosse (la morte? L’arresa degli avversari?). “Questa guerra può finire solo in un modo. Vince chi sopravvive” è la frase pronunciata dal colonnello Mackenzie che riassume meglio di quanto non faccia tutto il film ciò che stava accadendo già da tre anni.
Il problema è che lo spettatore tifa affinché i due soldati portino a termine la missione, ma attorno a loro vede fin troppa poca crudeltà. Si parla del terzo anno di guerra, di morti innumerevoli, di soldati lontani da casa, di orrori, di disumanità, di continui rumori di spari che farebbero impazzire chiunque, della paura di non sapere mai cosa accadrà, della fame, della sete, degli abiti sporchi e squarciati, di igiene fisica e mentale che non esiste più, di amici morti in battaglia, di attese infinite senza conforto. Manca tutto questo, manca nei dialoghi di Blake e Schofield, manca nel contorno dei soldati che si intravedono ogni tanto. È stato detto che ormai la guerra non la ricordiamo più – e meno male –, che i racconti del nonno da cui Mendes ha tratto ispirazione non sono stati abbastanza.
Dunque torniamo alla domanda
iniziale: 1917 è davvero un
capolavoro? Nì. I suoi punti di forza sono legati allo stupore tecnico del
piano sequenza, ai suoi paesaggi, alla sua fotografia, allo sforzo immane che
si può percepire da parte di cast artistico e tecnico. Ma manca quell’ansia che
ho provato in Dunkirk, col suo
soffocante ticchettio che scandiva il tempo infinito e dilatato, poi accelerato
e frenetico; manca la tristezza per ciò che i protagonisti di quell’orrore
stavano vivendo.
Seppur la prima e la seconda guerra mondiale siano state molto diverse, la missione che abbiamo visto sullo schermo era reale, aveva un tempo entro cui essere compiuta, e lo sfondo era un attacco. Dunque i presupposti per creare un contesto più adrenalinico, disturbante, toccante c’erano, ma non sono stati approfonditi. Resta da vedere cosa significherà, con il passare del tempo, questo film per la storia del cinema, una volta lontano da recensioni entusiaste e statuette scintillanti.
Seppur la prima e la seconda guerra mondiale siano state molto diverse, la missione che abbiamo visto sullo schermo era reale, aveva un tempo entro cui essere compiuta, e lo sfondo era un attacco. Dunque i presupposti per creare un contesto più adrenalinico, disturbante, toccante c’erano, ma non sono stati approfonditi. Resta da vedere cosa significherà, con il passare del tempo, questo film per la storia del cinema, una volta lontano da recensioni entusiaste e statuette scintillanti.
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