Eccomi nuovamente qui readers,
è
arrivato infatti il momento della Rubrica dedicata ai nostri autori,
Pagina 69. Oggi sul Blog abbiamo come ospite Erica Delis e il suo libro: Leone come me
Pagina 69
Autore Emergente se ti sei appena sintonizzato sul mio
blog, il giovedì è dedicato a te quindi scegli come vuoi avere un po' di
visibilità (segnalazione o pagina 69) e invia un email a gattolibraio@libero.it con il libro
Sia per la pagina 69 che per la segnalazione dovrai inviarmi il seguente materiale:
- Libro da segnalare
- Piccolo estratto a piacere del libro
- Biografia
- Foto autore/autrice o qualcosa che vi rappresenti
Avviso: Tutte le email sprovviste di questo materiale non saranno neanche prese in considerazione
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Ricordo che la rubrica è stata ideata da Ornella di Peccati di Penna.
LEONE COME ME - ERICA DELIS
Genere: NarrativaPrezzo: Cartaceo € 14,00
Pagine: 172
Pubblicazione:10 marzo 2025
ESTRATTO
1
Presentazioni subito dimenticate
Non era tardi e nemmeno presto ma per lei era come fosse notte fonda mentre nel locale la gente si accalcava sotto le luci e i menù venivano aperti e sbatacchiati alle ventuno di un sabato, di un piovoso sabato qualunque. Controvoglia si era fatta portare, Lena l’aveva bersagliata, un messaggio dopo l’altro, e alla fine si era cambiata, senza animo si era pettinata e truccata, sempre con quella sensazione allo specchio di avere qualcosa di sbagliato e completamente fuori posto.
Preferisco stare a casa con voi - aveva detto con gli occhi - ma vado perché è sabato, d’accordo? Oppure: vado, così il cellulare vi lascia in pace, d’accordo?
Niente, non le credevano. Stavano all’erta, occupando i loro posti di sempre prima di ogni separazione, anche brevissima, anche se usciva un attimo per buttare la spazzatura. Per loro non c’era il concetto di tempo, pochi minuti a volte duravano ore e viceversa: Molly sul trespolo, Bloom sopra il tavolo, Proust nella cuccia antistress, impegnati a ricordarle che esistevano, che esistevano intensamente e riuscivano a essere più reali e necessari di tutto il resto.
E ora, nel locale giapponese, fuori pioggia a raffiche, dentro umidità portata dagli ombrelli e Lena che le sta davanti coi riccioli piastrati in attesa dei loro posti a sedere. Cinque sedie che si svuotano e subito si ricoprono di sciarpe e cappotti, cinque donne in su con gli anni che si accomodano impugnando le bacchette con cui pescheranno qualcosa da scodelle che scottano. Si era aggiunta all’ultimo tuffo dicendo - Piacere, Rela - nello stringere piccole mani uscite dai guanti. Ovvie, le domande sul perché del nome, quasi un automatismo il suo - ad essere sincera non lo so - realizzando che in effetti era vero, così come era vero che la mamma era sempre stata un tipo originale. Messaggio dopo messaggio Lena aveva costruito la loro serata di donne abbandonate che non si arrendono all’evidenza e continuano a spendere soldi in vestiti e pochette di lustrini. E tutto sommato a Rela il posto piace, se non altro per via degli specchi a parete che corrono fino al soffitto e hanno un che di slanciato che disorienta. Bene, per una sera va bene - si dice - e con diligenza, come una bambina sul banco di scuola, presta attenzione ai discorsi delle amiche, impegnandosi a non pensare ad altro. È Lena che imperversa, passando dalle scarpe mid season che è ora di mettere via alle serie Netflix che le fanno perdere un sacco di tempo. La bruna al suo fianco ha un taglio a caschetto lucidissimo e una mano pallida e piena di anelli.
Naturalmente i nomi li ha già dimenticati, anche se le presentazioni sono state fatte da Lena poco prima di entrare con tono fin troppo solenne. Le chiamerò la bruna, la rossa, la biondiccia, un po’ lo stesso metodo che all’inizio usava in gattile, distinguendo gli esuli a partire dal manto: il tigrato, il rosso, la nerina, il grigio scuro, la bianca bianca. Non poteva funzionare perché gli esuli erano troppi, quasi quaranta, e per non confonderli e farsi capire doveva aggiungere attributi - la bianca con l’orecchio mozzo, il tigrato grasso, il rosso senza coda - e anche così le altre volontarie si innervosivano, specie le nuove che venivano in coppia per qualche ora. “Ma non puoi imparare i nomi? Guarda nel box, c’è uno schema con le foto, non capisco se mi dici il bianco col muso storto”.
Rela sapeva che avrebbe dovuto sforzarsi per essere più autonoma durante i suoi turni che cadevano quasi sempre di domenica, che poteva essere più veloce e meglio organizzata nel giro di perlustrazione e nel cambio ciotole ma la verità era che non le importava. Non le importava di far tardi, di trattenersi in quel posto interi pomeriggi, lasciandosi avvolgere dal crepuscolo in pieno inverno, bagnandosi le maniche e i capelli se pioveva. Non era nulla di speciale, niente più di una piana di terra nuda recintata di rete metallica con una passerella di lastroni in mezzo per salvarsi da un diluvio di fango. Solo col caldo cambiava aspetto e per un breve periodo si ricopriva di erba verdissima in mezzo alla quale nascevano ciuffi di margherite. Ma a lei piaceva il silenzio, piaceva il fatto che ci fosse quasi sempre vento e che nel vento i gatti si rincorressero, animandosi di una piccola gioia. Il tigrato grasso con gli occhi gialli si chiamava Pelo ed era uno dei più anziani. Il bianconero scorbutico che passava i mesi nascosto sotto un coltrone si chiamava Mascherina, pur essendo un maschio. Il difficile veniva con i quasi gemelli. Tanti esuli erano identici, i neri soprattutto sembravano moltiplicati in serie, tuffati nella pece alla nascita e senza una sola macchiolina la facevano pensare - chissà perché - a dei minuscoli gorilla. Con il tempo e con parecchie titubanze alla fine la spuntò anche con loro, con la famiglia dei neri assoluti, che adesso riusciva a riconoscere anche quando la accerchiavano nel buio, stiracchiandosi e strusciandosi intorno ai suoi stivali.

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