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IL TRONO DI PELLICOLE: ANNI 90: CHUCKY

Come dimenticare Chucky, la terribile bambola-killer creata da Don Mancini per la saga horror iniziata nel 1988 con La bambola assassina di Tom Holland. Numerosi altri titoli ad esso legati uscirono negli anni ’90 e 2000 con l’apparizione di una sposa assassina e della relativa prole. Questa volta, nel recente film del 2019, Chucky è da solo e ci fa ragionare un po’ di più…

ANNI 90: CHUCKY

Lars Klevberg riprende il celebre personaggio e lo proietta in tempi moderni, non tanto lontani dagli scenari dei primi film, eppure molto diversi. Perché molto è cambiato in questi due decenni, soprattutto per la clamorosa espansione tecnologica che ci ha investiti. Anche Chucky è più espressivo, più intuitivo e forse più intelligente. 

Ciò che allarma durante la visione del film, però, è l’origine della sua malvagità: mentre nei precedenti titoli si parlava di un pazzo assassino vero e proprio, il nuovo Chucky è una “telecamera” sulla società moderna, che ascolta e assimila quello che lo circonda, a iniziare dai bambini. Una parola di troppo, una leggerezza, un gesto apparentemente insignificante eppure tremendo. Le volontà che piano piano si annidano nella testa della bambola sono una conseguenza di ciò che vede e sente intorno a lui, amplificato e duraturo come accade ai bambini.


Il suo migliore amico è Andy (Gabriel Bateman), il ragazzino a cui Chucky è stato regalato. Programmato per una fedeltà incondizionata – ampliata da un volontario annullamento dei freni inibitori da parte di un tecnico arrabbiato per il licenziamento dalla fabbrica produttrice di giocattoli – lo scopo di Chucky è quello di proteggere e rendere felice il suo nuovo migliore amico, ad ogni costo. Ora, il film è stato girato anche con una chiave ironica niente male, sono tanti i momenti grotteschi in cui però si sorride; il fatto è che rimane molto inquietante, non tanto per la trama quanto per il tema trattato, assolutamente reale. 

La violenza è all’ordine del giorno, quella inutile e stupida che viene fuori sotto forma di gesti o parole. Malauguratamente, qualcuno prende esempio da quei gesti, alla lettera quelle parole, e le azioni sfociano in qualcosa di inverosimile. Questo è ciò che rimane di questo film, e forse è un bene rifletterci sopra. Per quanto riguarda il personaggio in sé, siamo di fronte a un Chucky 2.0 evoluto e super espressivo, che però continua ad essere una di quelle bambole che non compreremmo mai.


Il reboot è fedele all’originale, ma si discosta nei tempi di ambientazione, come già spiegato: in particolare, l’età del protagonista è stata alzata per puntare l’attenzione agli episodi di violenza gratuita che riguardano una fascia di età dai 13 anni in poi. La bambola, inoltre, non è posseduta dallo spirito di un assassino come negli originali, bensì incattivita da un mal funzionamento – o a dirla tutta dall’emulazione della realtà e della televisione. 

A parte l’affetto che ci lega a questa bambola per noi generazione anni ’90 (o meglio, il trauma), questo reboot non è per niente male e riporta in vita un personaggio importante dell’horror in modo intelligente. Bravo Chucky, ma continueremo a starti molto lontani!






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